il cavaliere cammina

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26 marzo 2012 di maleberto

per il corridoio. Non è un evento unico, né occasionale: lo fa praticamente tutti i pomeriggi. Lo fanno tutti, a dire il vero, ma certo non come lo fa lui. Io stesso, ad esempio, cammino spesso per spostarmi da un ufficio all’altro, ma per il cavaliere il discorso è diverso: lui cammina e basta, le mani dietro la schiena che impugnano un cordless che non suona, lo sguardo all’orizzonte costretto ad arrestarsi contro la parete di fondo del corridoio. Ma d’altra parte, cosa deve fare? In certi momenti della giornata, né la direttrice di produzione né la responsabile del marketing sono presenti. Senza di loro, i contenitori di email e altre cose stampabili su cui le due signore mantengono il potere tornano ad essere due soprammobili ostili, e il nostro cavaliere preferisce girare loro lontano, per non subirne la perversa influenza.

Camminare per i corridoi diventa quindi una attività di tutto rispetto, che esegue mettendoci la massima dignità possibile. Per fare questo in genere decide per una velocità abbastanza ridotta, per evitare di compiere lo stesso percorso un numero decisamente eccessivo di volte. Senza però andare troppo piano: la camminata non deve essere quella di chi non ha niente da fare. Deve sembrare qualcosa che dia l’idea che si sta muovendo per raggiungere un posto ben preciso, ma senza fretta. Dall’inizio alla fine del corridoio, e poi dalla fine all’inizio. A volte sale le scale da una parte e poi scende dall’altra; di conseguenza è anche possibile vederlo fare il percorso più volte, a sorpresa, nella stessa direzione, senza il passaggio intermedio all’inverso.

Lo sguardo con cui accompagna le sue camminate però non è tra i più discreti. Ogni porta a vetri viene omaggiata da una torsione completa del collo, e lo sguardo accigliato che si posa su ogni persona ha la prepotenza di chi forse crede di essere invisibile, ed è sottolineato dall’espressione di un poveruomo costretto suo malgrado a mantenere un gran numero di persone che chiaramente non fanno niente di produttivo. Mi sentirei decisamente spiato, ma una cosa mi tranquillizza: con le sue conoscenze informatiche non è in grado di non distinguere sul mio monitor la finestra di un social network da quella del gestionale che ha pagato centomila euro.

A volte gli suona il telefono: qualcuno lo chiama per un problema che solo lui può risolvere. E allora da ostico osservatore si trasforma nel più gonfio dei pavoni: il passo aumenta subito di vigore ed intensità, e la voce si fa tonante: che tutto l’edificio senta quanto è importante e capace!

A volte le circostanze lo mettono però alle corde. Qualcuno lo chiama al telefono per dirgli di avergli mandato una mail, e sicuramente è già finita dentro al computer della direttrice del marketing. Non possiamo aspettare fino a domani: è troppo importante! Deve chiedere a me di tirarla fuori subito per stamparla.

Mi chiede se sono capace di fare questo. Sì, sono capace: a volte il mio terribile potere spaventa anche me.

Scendo le scale, vado nell’ufficio marketing. Utente, password. Posta. Lui compare da dietro, come un famelico avvoltoio. Mi guarda da sopra la spalla, ma la sensazione è che mi ci stia appollaiato sopra, vigorosamente agganciato con i suoi poderosi artigli. Non capisco se è qui per controllare che non abusi del mio immenso potere (noi informatici sostanzialmente siamo tutte persone malvagie che si divertono ad accedere ad altrui informazioni in maniera impropria e rocambolesca, l’ha sicuramente visto in televisione) o più facilmente perché deve essere il primo ad avvistare la desiderata email. Un moderno capitano Ahab del computer, che impossibilitato dall’handicap della gamba di legno, vuole comunque essere in prima linea sulla lancia al momento del lancio dell’arpione.

Trovo cinque messaggi non letti. Tre sono di pubblicità: gli dico che non li leggo neanche. Eh No! Vediamo lo stesso cosa sono. Bene. Ecco il primo di un sito di vacanze, faccio per passare al secondo, ma dal suo sguardo mi pare di capire che non sia del tutto convinto che quella non sia la mail che sta aspettando. Potrei fargli notare che quello non è né il mio né il suo computer, e che di fatto stiamo guardando la posta di un’altra persona, ma decido di tralasciare.

Dopo aver controllato anche la seconda email, che propone dei DVD e Blu-ray ad un prezzo molto conveniente, ed una terza che parla di cosmesi femminile, finalmente nel giro di poche decine di minuti arriviamo alla mail desiderata. Qui il cavaliere riconosce qualcosa di cui ha completa padronanza in un nome proprio, quello del mittente: colui che lo ha chiamato. Trovare il suo nome dentro il temuto televisore del computer gli fa prendere sicurezza, e torna l’uomo imperioso a cui siamo abituati, capace in questo frangente di dominare addirittura il suo nemico informatico. Anche se lo controlla per mio tramite, a dire il vero, ma sono sottigliezze: io sono solo il braccio, lui è la mente.

Parte subito un vigoroso fiume di imperiosi ordini di governo:

– Ecco, stampa quella foto! Anche quella! Poi fammi vedere giù… sì, stampa anche quella! Piano!

Per la cronaca, se ci sono venti foto allegate, servono venti ordini espliciti di stampare ogni singola immagine. A volte ha dei dubbi, quando ad esempio due foto mostrano due quadri appesi ad un muro, ma si rivelano molto simili sia per il fatto che sono ugualmente sfuocate, sia per il riflesso del flash nel vetro, che nasconde per tre quarti la parte centrale del dipinto. Sicuramente la prima va comunque stampata subito, ma dopo alcuni ripensamenti, mi fa tornare indietro di alcune foto per stampare anche la seconda. D’altra parte, finché non sta sulla carta, non si può sapere.

Mentre mi dà ordini perentori di stampare ogni immagine, deve comunque già vedere dove sto effettivamente stampando. Glielo dico subito: nella stanza vicina. Impaziente abbandona il centro di comando per andarci subito, dove per una qualche misteriosa diavoleria una grossa stampante sta effettivamente buttando su carta le stesse foto che fino a pochi secondi prima erano imprigionate dentro alla testa del computer. La stampante è un po’ troppo lenta a partorire gli agognati fogli, e si sente in dovere di incoraggiarla delicatamente, come il più comprensivo ed amorevole dei ginecologi.

Torna da me con un foglio in mano: d’accordo che il primo foglio è già stato materializzato, ma altri ancora attendono la libertà. Nervosamente quindi alterna si alterna nei due ruoli di comandante di stato maggiore ed ostetrica con un andirivieni compulsivo.

Alla fine delle grandi manovre deve scattare il controllo: uno per uno vanno ripassate a video le immagini, mentre lui cerca orgoglioso la versione liberata tra le sue copie cartacee. Ormai non mi riconosce più il ruolo di suo aiutante sul campo: adesso che ha in pugno gli oggetti desiderati, la risorsa strategica è un’altra, ed il rispetto per il mio ruolo decade drasticamente.

Bene, abbiamo finito. Lo vedo esausto, ma credo che Sir Francis Drake avesse la stessa espressione fiera ed orgogliosa dopo aver sbaragliato l’Invincibile Armada. Con un dovuto grugnito di ringraziamento mi congeda, rimandandomi ai miei misteriosi doveri.

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